Il grido di invocazione alla sorella morte di Giona risuona
per tanti secoli fino alla fine dei tempi. Nel suo caso, mi sembra come se
fosse un grido umano che esprime l’incapacità umana per andare contro alla
misericordia di Dio. Egli si sente così sicuro che il Signore non fa altro che
dimostrare la sua misericordia a coloro che, secondo Giona, vivono in modo
profano.
Nel nostro mondo di oggi, questo grido potrebbe essere una
soluzione giusta per fuggire dalle realtà e dai problemi ingestibili che disegnano
la fatica per vivere il quotidiano. Quanti casi di suicidi al giorno sono
registrati dai giornali del nostro paese? Si pensa che la vita è un diritto. Posso
fare tutto ciò che voglio al mio corpo, alla mia anima e al mio futuro senza
che nessuno potrà mai contestare. No! La vita non è un diritto di qualcuno e l’altro
non ce l’ha. La vita non appartiene all’uomo, ma a Dio.
Tutte le persone di questa vita faticano per trovare la
pace. Fatica quel giovane, quel impiegato, quel politico, quel idraulico, quel
pizzaiolo, quel poliziotto, quel soldato, quel giocatore quel… perché con quel
guadagno, con quel posto, con quel titolo l’uomo può essere riempito, ma non saziato;
non trova la pace. Il mondo con tutti i suoi beni non può contentare il cuore
dell’uomo perché sono i beni apparenti. San Agostino ci fa ricordare che l’avaro
quanto più acquista, tanto più cerca di acquistare.
Così la sfida del vivere è più difficile rispetto alla
cultura della morte, soprattutto quando l’uomo si accorge che il Signore è
buono, è pieno di misericordia con chi gli invoca e perdona (Sal 85/86).
Alla fine, le pagine di Giona diventano per noi un
invito a pregare per tutte le persone che non «sanno distinguere fra la mano
destra e la sinistra», che non conoscono e non amano il nostro Signore Gesù
Cristo, affinché Egli stesso mandi i suoi operai nella sua vigna. Che tutte le
persone di qualsiasi religione, razza, continente, occupazione, credenza …
siano salvi.
alfonsus widhi, parma 5 ottobre 2011