foto di M. Frassinetti |
Che cos’è la salute? WHO
offre una definizione descrittiva: «La salute è lo stato di perfetto benessere
fisico, mentale e sociale, e non la semplice assenza di qualche malattia». Ma questa
è una definizione impossibile, perché è irrealizzabile in questa vita! Chi può
raggiungere quel stato perfetto? C’è qualcuno di noi cha non ha dei problemi
con il fisico, la crisi che fa girare la testa o magari si potrebbe trovare
qualcuno che non ha dei problemi con i suoi amici, i suoi collaboratori del
lavoro o i suoi vicini di casa?
Girando i miei
appunti della lezione, ho notato due approcci per definire il significato della
salute. Scusatemi che non mi ricordo più la citazione, ma se qualcuno le
sappia, mi dica, per favore, così potrei completare questi appunti.
Bene, il primo è
approccio strutturale. Questo approccio definisce stare bene in salute in tre
livelli (la salute fisica, psichica e spirituale) con i tre verbi (funzionare
bene il corpo, sentirsi bene ed essere bene). Mi riferirei al terzo livello e
al terzo verbo: la salute spirituale e l’essere bene, visto che non è tanto
difficile comprendere i primi due. A questo livello e stato, la persona vede se
stessa in contesto più ampio e crea il suo progetto di vita. Le cose che
succedono nella vita viene verticalizzato e la persona si trascende oltre la
sua condizione di salute. Così entra la logica: la vita è più che la salute o
la malattia.
L’idea simile è stata
portata dalla spiritualità di san Ignazio di Loyola: «che non desidera più la
salute che la malattia, bensì è aperta ad ogni possibilità, se in essa
riconosce la volontà di Dio». È uno spirito di indifferenza, perché ciò che
conta è Dio.
Di conseguenza,
possiamo verificare lo stato di salute dei mistici e la sua profonda relazione
con il Signore. Sinceramente, quasi vorrei dire che molti mistici non erano
fisicamente sani, ma si sentivano bene, perché avevano questa visione più ampia
della loro esistenza. Ecco perché le esperienze mistiche non vengono mai studiate
a parte e in se stesse, ma sempre nel contesto più ampio della persona concreta
e della sua spiritualità.
Il secondo approccio
sottolinea la volontà: «siamo responsabili della nostra salute». Esso vede la
salute come una conquista. Nel caso dei mistici di sofferenze, queste persone
riflettono un atteggiamento negativo o almeno di noncuranza verso la salute. Questa
non è il valore supremo nella loro vita spirituale. Possiamo notare l’ascesi
esagerata di alcuni mistici, le sante anoressiche o il tubercolosi nato a causa
della mancanza di riscaldamento nella loro epoca. Si sentivano bene perché capivano
che l’amore di Cristo li protegge. «Chi può separarci dall’amore di Cristo?»
(Rm 8,35-37). L’intensità dell’amore di Cristo sublime la loro esistenza
terrena e in questo modo, si sentirebbe bene, nonostante la salute fosse malandata.
Come possiamo
collegare questa mistica di sofferenza con le pagine bibliche che parla dei lebbrosi
(cf. Lev 13,1-2.44-46 e Mc 1,40-45)? Come si integra la sofferenza, la malattia
ossia la croce da sopportare nella vita spirituale o nel nostro pellegrinaggio
verso la città eterna?
Beato Giovanni Paolo
II nel ricordo del 50° del suo sacerdozio, scrivendo il libro dono e mistero,
ha sottolineato che «nei piani di Dio nulla è casuale» (cf. p. 44). Ciò significa
che non esiste l’esperienza «per caso» nella nostra storia. Ogni incontro con
le persone e ogni evento hanno il suo significato per la nostra vita. Così vale
anche l’esperienza negativa che comprende, la salute malandata, la sofferenza,
la fatica ed i vari problemi che non finiscono mai. Magari ci accorgeremo dopo
il suo significato!
L’esperienza di quel
lebbroso, che ha chiesto la guarigione a Gesù, ci offre uno schema delle tappe di
cammino spirituale nella sofferenza. Il lebbroso riconosce e prende di
coscienza la sua sofferenza poi afferma il primato dell’amore incondizionato di
Dio. Infatti, lo sguardo compassionevole di Gesù gli dia una speranza e alla
fine ridona la guarigione.
La sfida per noi è l’apertura
alle opzioni della volontà di Dio. San Giovanni della croce nel suo libro «la
salita al monte carmelo» sottolinea un atteggiamento indifferente di fronte ai
doni di Dio. «Sia che svegliamo sia che dormiamo, apparteniamo al Signore» (1Tes
5,9-10). È difficile però accettare una lebbra nella nostra pelle, una trauma
nella nostra storia, una crisi esistenziale nella nostra vita. Accettarle significa
accogliere con un cuore sincero, lottando interiormente per trovare la grazia
di Dio che opera in essa. Senza il crocefisso, non c’è la resurrezione. Questa notte
spirituale si culmina quando l’uomo malato e riconosce la sua malattia, si arrende
all’Amore: «Mio Gesù, se vuoi, puoi guarirmi».
Così l’atteggiamento
del mistico della sofferenza nei confronti della malattia si può sintetizzare
così: «il mistico non sopporta, ma porta la malattia, identificandosi con il
Crocefisso». La differenza sta nella positività dell’atteggiamento. La malattia suscita nuove domande e nuove
sfide, la spiritualità mistica della sofferenza, invece, dà nuovo senso alla
malattia.
Alla fine, il lebbroso
ha vissuto l’esperienza della misericordia di Dio ed è impossibile tenere la
bocca chiusa, perché l’Amore è troppo grande da contenere nel cuore dell’uomo. È
proprio qui si trova l’invito nascosto all’inizio della seconda lettura di 1Cor
10,31-11,1 «Fratelli, sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate
qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio». Per chi soffre, la
vostra sofferenza potrebbe diventare un mezzo privilegiato per un apostolato
come l’esempio di oggi come Concetta
Bertolli e Chiara
Luce Badano. I mistici della sofferenza trova senso per la sua malattia
nella volontà di Dio.
alfonsus widhi sx
bintaro, 12-02-2012